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Nazioni sul lastrico

Le piramidi e i Ponzi schemes non hanno travolto solo piccoli risparmiatori ma anche intere nazioni e comunità. In particolare nell'Est europeo, all'inizio degli anni 90, dopo il crollo del socialismo reale e con milioni di persone ridotte in miseria.

L'Albania in ginocchio
Quanto accadde in Albania nel 1997 ebbe conseguenze dirette anche nel nostro paese. Una vicenda che rievoca freschi ricordi: un’intera nazione truffata da una serie di Ponzi Schemes, mezzo milione di famiglie albanesi (ossia un risparmiatore su due) che arrivarono a investire quasi un miliardo di dollari in finanziarie-truffa. Per farsi un’idea delle proporzioni, basti pensare che l’intero prodotto interno lordo albanese ammontava a circa tre miliardi di dollari. Le società finanziarie promettevano interessi inauditi (dal 10 al 25% al mese), ed erano collegate o “coperte” dal potere politico di allora. Le cinque principali piramidi (Vefa Holding, Gjallica, Sudja, Kamberi e Populli-Xhaferri) avrebbero coinvolto direttamente 225mila clienti, cumulando un debito pari a quasi 2 miliardi di dollari, a fronte di un valore patrimoniale di poco superiore ai 650 milioni di dollari.3 Quando le finanziarie fallirono, l’intera Albania andò in bancarotta. Venne prosciugato soprattutto il risparmio degli emigrati, la linfa dell’economia nazionale.

Il caso Romania
Quello albanese non è stato il primo episodio. Qualcosa di molto simile era avvenuto nella Romania del dopo Ceausescu. Le analogie tra le due vicende, che hanno accomunato paesi appena usciti dalla lunga notte del socialismo reale, non sono poche. In sostanza, una sbornia di capitalismo e denaro in luoghi dove la povertà era tutto tranne che una metafora. In Romania per l’appunto, nella città transilvana di Cluj, il contabile Ion Stoica fondò nel 1992 la finanziaria Caritas, che prometteva di restituire dopo novanta giorni le somme prestate moltiplicate per otto grazie a una formula “magica”. Stoica si faceva chiamare “Messia”, dichiarava che la Caritas avrebbe aiutato i rumeni ad affrontare la transizione dall’economia pianificata al libero mercato, e i rumeni si fidarono di lui. Sulle prime, infatti, l’operazione fu un successo: la gente arrivava a frotte da ogni angolo del paese (ma anche dall’Ungheria, dalla Moldavia, dall’Ucraina) per affidare i propri risparmi a Stoica. Nel novembre del 1993 il New York Times scrisse che, secondo le analisi di alcuni economisti, la Caritas aveva raccolto quasi cinque miliardi di dollari. Parola di Stoica: “Se il gioco dovesse crollare, ogni giocatore avrà almeno la metà del suo investimento”. Ma le cose non andarono così. Quando i sottoscrittori diminuirono, la catena si interruppe mandando in rovina, nel 1994, circa quattro milioni di persone. Stoica, che aveva raccolto una cifra pari a 1.500 miliardi di lire, fu arrestato

Il caso serbo della Dafiment Bank
Si è capito che gli schemi piramidali sono il sistema più efficace per carpire soldi in fretta al più vasto numero di gente possibile. Non a caso vi fece ricorso anche Slobodan Milosevic, ex presidente della repubblica jugoslava, attualmente consegnato dal suo paese al Tribunale Internazionale dell’Aja. Alle responsabilità nel genocidio balcanico Milosevic aggiunse la spoliazione sistematica delle risorse economiche del suo paese e dei suoi concittadini. E finché ebbe il potere in mano non smise di farlo. Una banca truffaldina, quella della signora Dafina Milanovic fu lo strumento con cui Slobodan Milosevic raggirò il suo popolo. All’inizio degli anni Novanta il governo serbo era alla spasmodica ricerca di liquidi, e arrivò anche a congelare i conti correnti bancari dei risparmiatori. Per tutta risposta, i serbi ritirarono i risparmi dalle banche di Stato. Fu a quel punto che Milosevic e i suoi si misero a cercare un nuovo sistema per raccogliere fondi. E lo trovarono nella Dafiment Bank. Attirate dai tassi di interesse stratosferici promessi (oltre il 18% mensile), decine di migliaia di persone affidarono i loro risparmi all’istituto di credito, arrivando anche a vendersi casa per investire più risorse. Con quei soldi, Milosevic finanziò la guerra in Croazia e in Bosnia, mentre gli interessi (finché vennero regolarmente pagati) garantirono la pace sociale. Circa 4 miliardi di marchi tedeschi (4mila miliardi di lire) passarono per le casse della banca. Dafina disperse questi soldi tra i leader politici dei serbi di Croazia e di Bosnia, oltre che nelle casse di Milosevic. Con i fondi di Dafiment venne costruito, si dice, un campo d’addestramento in Croazia orientale gestito da Zeljko Raznjatovic, il sanguinario “comandante Arkan”, ora passato a miglior vita dopo un misterioso attentato. Ma quando la piramide cominciò a vacillare, la sorte dei risparmiatori cambiò. I fondi versati nelle casse della banca, infatti, erano stati tutti trasferiti all’estero o ridistribuiti tra gli accoliti di Milosevic. Alle prime avvisaglie della catastrofe la gente cominciò ad affollarsi davanti alle filiali per tentare di riscattare i soldi investiti, allungandosi (inutilmente) in file di chilometri. La banca, indebitata per centinaia di miliardi, nei primi mesi del 1992 collassò.